41 anni dal terribile attentato a Chinnici, padre del ‘Pool Antimafia’. Lavorò a Partanna

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Il 29 luglio 1983, alle 8.05 del mattino, una Fiat 126 verde imbottita con 75 chili di tritolo esplose in via Pipitone Federico, a Palermo. Il giudice Rocco Chinnici, il maresciallo Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta e Stefano Li Sacchi, portiere dello stabile in cui abitava il giudice, persero la vita. Il magistrato stava per salire sulla sua Alfetta blindata, ma il boss Antonino Madonia, azionò il telecomando proprio in quel momento. Fu un’esplosione devastante. Sono trascorsi 41 anni da quel giorno. Rocco Chinnici, nato a Misilmeri, fece il suo uditorato al tribunale di Trapani e poi, nel 1954, venne nominato pretore di Partanna. Oggi proprio Partanna, Palermo, Misilmeri e anche Pavia ricordano l’attentato. Questa mattina a Palermo, alle 9.30, nel luogo in cui avvenne la strage, in via Pipitone Federico, la deposizione di corone di fiori. Poi la santa messa in memoria delle vittime mentre in serata, alle 19, l’ultima deposizione di corone, in Piazza Umberto I, sul bifrontale dedicato a Rocco Chinnici. Grande precursore della moderna lotta alla mafia, il giudice Chinnici, padre dell’eurodeputata Caterina, credeva fermamente nell’importanza della cultura e del lavoro. Tra gli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, di fronte ad una mafia sempre più violenta e potente, il giudice portò coraggiosamente avanti il suo lavoro di magistrato con straordinarie intuizioni ed una eccezionale forza innovativa. Alla fine del 1979, fu nominato capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo e fu proprio lui a creare il Pool antimafia, chiamando colleghi allora giovani, come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Diede inoltre un prezioso contributo tecnico alla stesura della legge Rognoni-La Torre e, in particolare, alla definizione del reato di associazione “di tipo mafioso” ed al potenziamento della prevenzione patrimoniale. Fu inoltre il primo magistrato ad uscire dalle aule dei Tribunali per andare nelle scuole e parlare ai ragazzi dei pericoli della droga, il cui traffico mondiale era, allora, l’attività principale della mafia.